Il cantiere delle donne L'Aquila
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il laboratorio
come
piccole
tracce
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Ho conosciuto Cecilia quando ho iniziato a lavorare presso la medicina scolastica, eravamo un gruppo di neo laureate alla nostra prima occupazione, tra tutti i colleghi fui colpita per prima da lei che a ogni riunione si sedeva di fronte a me, mi guardava e scriveva. Poi ho scoperto che mi faceva il ritratto. Mi confessò che era l’unico modo che aveva per riuscire a concentrarsi, conservo ancora diversi ritratti realizzati nelle tante riunioni di quel bel periodo.
Oggi Cecilia è una piacevole sessantacinquenne che parla di sé con calma e sincerità, crede nel percorso della scrittura fotografica e si fida di chi glielo ha proposto. “Mi chiamo Cecilia, mamma mi ha dato questo nome, che mi piace tantissimo, perché è il nome di mia nonna. La mia storia è questa”. Mentre parla, il suo sguardo sembra accarezzare i ricordi affinché non sfuggano. Racconta della sua nascita, arrivata per seconda da un parto gemellare, si descrive come uno scricciolo, sotto peso e brutta, tanto che la mamma sperò che morisse. La nonna che era stata molto sfortunata con il marito morto in America propose “chiamiamola Cecilia tanto muore” questa è l’eredità impegnativa che porta e “ancora oggi lotto con il mio destino, però non mi do per vinta”.
La sua vita si svolge tra San Panfilo D’Ocre [provincia dell’Aquila] e L’Aquila, dove lavora, come assistente sociale presso la neuropsichiatria di territorio. Ha due figli, uno vive a Roma e l’altro in Francia. A San Panfilo è tornata per far quadrare meglio il bilancio, ora ci sta bene ma all’inizio non è stato facile. Le sue giornate sono piene delle sue passioni, l’arte, il bello, le piante, l’orto, la cucina. Sente di avere una buona manualità e le piace sperimentare, è creativa, ama vedere le materie che si trasformano sotto le sue mani.
Associa le passioni con i periodi: quello della cartapesta, dell’argilla, dei filati. In questo periodo realizza lampade, intrecciando fili con l’uncinetto. Un’altra grande passione è la cucina. La sua mamma le ha insegnato a fare il pane, le ferratelle e il formaggio. Anche qui vede i materiali che si trasformano e lei prova un grande gusto nel ripetere il rituale per trasformare il latte in caglio e siero e poi in formaggio e ricotta. Il suo sogno è aprire un laboratorio dove trasformare materie sia in arte sia in cibo e aprirlo ai bambini.