Il cantiere delle donne L'Aquila
01
il laboratorio
come
piccole
tracce
come
piccole
tracce
come
piccole
tracce
come
piccole
tracce
il laboratorio
il laboratorio
il laboratorio
il laboratorio
Colomba
di Nicoletta Bardi
Ho pensato di fare questo corso di fotografia alla Casa delle donne perché avevo voglia di stare insieme a persone piacevoli, volevo parlare di cose belle, e desideravo che la bellezza delle persone e delle foto diventasse anche qualcosa di utile. Allora mi è venuta in mente questa vecchia fotografia e insieme la sua storia.
Le persone della foto sono, da destra, la mia bisnonna Colomba, le sue figlie e suo figlio; quelli e quelle sopravvissute, perché la mortalità infantile e la febbre spagnola avevano provveduto a sfoltire la progenie.
Siamo nel 1924, in un piccolo villaggio dell’entroterra ligure, a ridosso delle Cinque Terre, che viveva di agricoltura e pastorizia, quel tanto che bastava. Il capofamiglia, Pietro, contadino ricco di terre e di lavoro nei campi, è morto da poco; Colomba non viene da una famiglia contadina, suo padre è mercante, va nelle fiere a vendere, e lei in famiglia è deputata ad aiutare in casa; un sensale suggerisce il matrimonio tra i due giovani, le ricchezze delle famiglie si equivalgono, lei si trasferisce dal paese natale a quello del marito, ed è un viaggio anche se ora l’idea fa sorridere. Colomba rimpiange e piange, guardando verso i suoi monti oltre l’orizzonte, ma fa la sposa e la madre, perché solo questo può fare.
Quando Pietro muore Colomba si accorge di non avere dello sposo nessuna foto: le figlie più piccole, di tre e cinque anni, non potranno ricordare il volto del padre. E allora decide, bisogna andare a fare una foto alla famiglia, prima che altri visi possano essere risucchiati dal vuoto.
Con i vestiti da lavoro addosso, e quelli buoni in una cesta da portare sulla testa, lei chiusa nel lutto e dimessa come un’anziana anche se ha solo quarant’anni, e le tre figlie più grandi che sembrano adulte anche se nessuna arriva ad avere vent’anni, si avviano verso la città. Sono venti chilometri da fare a piedi, con le bimbe più piccole in braccio e il figlio maschio che probabilmente già si sente il capo famiglia.
Arrivano in città davanti ad un negozio di fotografo e si lavano ad una fontanella, come sono abituate a fare al paese, per indossare gli abiti buoni, le scarpe migliori, la catenina d’oro con l’immagine della madonna, ma una guardia le blocca e vuole multarle, in città queste cose non si fanno. Colomba piange, ha solo i soldi per la fotografia, se deve pagare la multa il viaggio sarà stato inutile; la guardia si rabbonisce, rimbrotta e lascia correre. Il fotografo fa il suo dovere, e anche i fotografati: immobili, compunti, seri, persino un po’ tristi e dimessi; del resto sono lì per fare una cosa che va fatta, non c’è in questo atto nessuna vanità, solo una necessità, anche se la novità è immensa. In mezzo alle donne, ragazze e bambine, solo il maschio ha uno sguardo più altero, appena imperioso. Le due più piccole sono ipnotizzate da questo strano rito, solo due giarrettiere impertinenti ed un fiocco bianco rivelano l’infanzia. Fatto lo scatto, si esce dal negozio e ci si rimettono gli abiti di tutti i giorni: si deve risalire in campagna, portare le bimbe che sono stanche, tornare a casa e raccontare ai vicini questa avventura cittadina. Adesso nemmeno la morte potrà portare via il viso della mamma, quello sguardo preoccupato, quelle mani nodose.
Molto tempo dopo, forse una quarantina di anni fa, mia nonna, che è la bambina seduta con il fiocco bianco tra i capelli, ha fatto stampare tante copie di questa foto e le ha regalate a tutti, sorelle e fratello, figli e nipoti, pronipoti e discendenti, e insieme alla foto ci ha donato questa storia, che a me sembra bellissima. Quando scatto decine di foto e poi a malapena le guardo dopo averle scaricate sul computer, penso a quanto una foto possa anche essere preziosa. Ecco, il bello e l’utile. E una donna, tante donne, per raccontare la vita.